«Storia di Santino. O di “pilu russu”, come viene chiamato Santi Bertè, 70 anni, di Milazzo, malato di mente e di altro», così esordiva Giovanni Petrungaro nell’ormai lontano 19 luglio 1991 in un interessante articolo apparso sulla Gazzetta del Sud per denunciare le condizioni di degrado e di emarginazione di un «povero mentecatto schernito e abbandonato», vittima dell’indifferenza di tutti, istituzioni incluse. Ad aiutarlo, offrendogli ospitalità e conforto, il solo don Peppino Cutropia, sacerdote sempre in prima linea e tanto caro ai Milazzesi, che dalle colonne della Gazzetta non mancava d’indirizzare pesanti accuse, minacciando persino la presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica per mettere fine all’inerzia degli enti preposti, «inadempienze gravi da parte dell’assessorato ai Servizi Sociali del comune, dell’Usl 43 di Milazzo, per un mancato intervento ed un’adeguata efficienza per i servizi di igiene mentale, e della stessa struttura ospedaliera che non è mai intervenuta a livello clinico, medico-chirurgico, cure di cui il soggetto ha bisogno», tuonava Padre Cutropia.

Santi Berte’ (Pilu Russu)

Parole pesanti come macigni quelle di Don Peppino: «per di più, in modo paradossale, è capitato che lo stesso Santino, una volta ricoverato, sia riuscito ad eludere pure la sorveglianza del reparto psichiatrico e ritornare in strada, con i problemi di sempre (…). Sono stufo di ricevere le solite promesse. Ho più volte inviato delle lettere al sindaco, al presidente dell’Usl 43 e al pretore, evidenziando la situazione, ma il tutto si è risolto con interventi a breve termine, come dei ricoveri presso l’ospedale solo per pochi giorni». Parole che testimoniano, qualora ce ne fosse bisogno, l’umanità di questo grande sacerdote che fu vicino al povero Bertè anche in occasione della morte. Sarebbe stato proprio Don Peppino a pensare qualche tempo dopo ai funerali, facendo persino pubblicare il necrologio sulla Gazzetta del Sud, restituendo così la meritata dignità ad un personaggio che da giovane fu un ragioniere con un lavoro ed una vita normale, spezzata verisimilmente da qualche trauma verificatosi in seguito alla morte di un congiunto. Sono in tanti a ricordarsi oggi di “Pilu Russu” e della sua triste condizione di emarginazione. Storie di ordinario degrado che emergono dal toccante articolo di Giovanni Petrungaro, che così descriveva la triste quotidianità di Santino: «le sue giornate, o meglio la sua vita, si consuma nelle ore diurne, per lo più sulle strade alla ricerca di un po’ di tranquillità, che, molte volte, gli viene negata dallo scherno della gente che vede nel suo stato di emarginazione solo occasione di divertimento. Di notte, poi, tenta di trovare un dormitorio nelle sale d’aspetto della stazione ferroviaria o in qualche carcassa d’auto abbandonata». Sin qui il ricordo affettuoso di questo sfortunato milazzese dai capelli rossi. Concludiamo affidandoci alle calde e genuine parole di Padre Cutropia, che oggi come allora invitano alla riflessione: «non può un cittadino, anche se nella incapacità di rendersene conto, morire lentamente, giorno dopo giorno, sotto gli occhi di una città distratta e per l’incuria di chi ha il mandato ed il conseguente dovere di intervenire e dargli l’aiuto a cui ha diritto».

MASSIMO TRICAMO