Avrebbe ucciso il connazionale per 750 euro. I giudici della Corte d’Assise di Messina hanno condannato a 28 anni di reclusione Babul Miah, originario del Bangladesh, accusato di aver ucciso un connazionale Ali Taj nel corso di una rapina avvenuta la sera del 20 agosto 2012 a Capo Milazzo. La Corte d’Assise, presieduta dal giudice Nunzio Trovato, ha escluso l’aggravante (non prendendo in considerazione l’ergastolo) che invece era stato chiesta dal pubblico ministero Giorgio Nicola. A difendere Babul Miah gli avvocati Tommaso Autru Ryolo e Saverio Camuti che avevano concluso chiedendo l’assoluzione e l’esclusione dell’aggravante.

Babul Miah

L’uomo infatti si è sempre difeso respingendo le accuse. Il cadavere dell’ambulante fu ritrovato la mattina nei pressi di una caletta di via Ruotolo, una scalinata della strada panoramica che conduce fino al mare. Fin dal primo momento i sospetti degli investigatori del Commissariato di Polizia di Milazzo si concentrarono sul bengalese, individuando non solo Miah ma anche delle tracce di sangue dell’ambulante ucciso sui suoi sandali (risultati confermati dalle perizie di laboratorio eseguite dal Ris). Alcune persone, infatti, riferirono di averli visti insieme poche ore prima della morte. Miah, secondo il pm, era un punto di riferimento per tutti i connazionali che arrivavano a Milazzo e, in sostanza, “dettava legge”. Chi conosce Babul Miah, però, continua a difenderlo. L’uomo viveva a Milazzo con la sua famiglia da decenni e, oltre a vendere rose la sera, lavorava in una nota concessionaria d’auto dove faceva il “tuttofare” ed era apprezzato dal titolare e dai colleghi per la sua disponibilità e dedizione al lavoro. La difesa, infatti, è stata pagata con una loro raccolta fondi, che non hanno mai creduto all’accusa.