Reportage, il Centro di accoglienza per Minori Stranieri di Pace del Mela 25 Maggio 2023 Cronaca CONCORSO OGGI MILAZZO IN CLASSE / ISTITUTO IMPALLOMENI. Si sente parlare spesso di immigrati che sbarcano in Italia con la speranza di cambiare un destino segnato dalla guerra e dalla miseria: ma come funziona il sistema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati? Per rispondere a questa domanda ci siamo recati presso la struttura di accoglienza per Minori Stranieri Non Accompagnati di Pace del Mela in provincia di Messina. Ci ha accolti l’educatore Emanuele Genovese che, insieme ad altre figure professionali del Centro, ci ha guidato all’interno di una realtà esistente da lungo tempo sul nostro territorio ma poco conosciuta ai più. La comunità-alloggio è attiva dal settembre 2012 ed è denominata, non a caso, “Terra di mezzo”: accoglie infatti dei minori che, giunti in Italia con mezzi di fortuna, aspettano di ricevere asilo per poter permanere nella nostra nazione in maniera legale. Il centro può ospitare un massimo di 9 persone che, al compimento dei diciotto anni, potranno decidere se trasferirsi in un centro per adulti o vivere in maniera autonoma. Attualmente, i ragazzi residenti provengono dalla Guinea, dall’Egitto, dal Bangladesh e dalla Tunisia e hanno un’età compresa tra i 15 e i 17 anni. Nelle ore pomeridiane i ragazzi frequentano i corsi di alfabetizzazione presso il Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti (CPIA), con l’obiettivo di apprendere la lingua italiana e conseguire la licenza media. Le lezioni, che si svolgono presso l’I.C. “Garibaldi” di Milazzo, iniziano alle 15:00 e si concludono alle 18:30. Durante il tempo libero i ragazzi si dedicano a varie attività, ad esempio al laboratorio di cucina, durante il quale ciascuno è libero di poter preparare la pietanza tipica del proprio paese. Talvolta vengono coinvolti in progetti ricreativi organizzati dal Comune di Pace del Mela con l’obiettivo di facilitarne l’integrazione. I ragazzi percepiscono dallo Stato una quota di 2 euro al giorno e a volte riescono ad incrementare le proprie entrate svolgendo lavoretti saltuari. Emanuele ci fa sapere che la vita nella comunità si svolge all’insegna del sostegno reciproco e della collaborazione. Ci porta come esempio un fatto recente: l’unico ragazzo cristiano presente in struttura ha deciso di sostenere i suoi compagni musulmani durante il mese di Ramadan partecipando anche lui al percorso di digiuno. Chiediamo ad Emanuele di raccontarci in cosa consiste il suo lavoro e quello degli altri membri della struttura. Veniamo così a sapere che all’interno della Comunità-alloggio operano diverse professionalità: l’educatore, lo psicologo, il mediatore culturale e il mediatore linguistico e un ausiliario con compiti di collaborazione. Al di là dei loro specifici ruoli, ciò che risulta determinante è la flessibilità, il saper lavorare in équipe. “Ciò che conta davvero – afferma Emanuele – è la capacità empatica di saper comprendere i bisogni e le richieste dei ragazzi attraverso l’osservazione delle dinamiche di gruppo e l’ascolto attento”. In particolare, Emanuele ci racconta che uno dei suoi compiti è quello di predisporre il progetto educativo per ogni ragazzo, tenendo conto del suo specifico vissuto, delle sue risorse individuali e delle sue aspettative. Tuttavia, ci dice anche che il più importante lavoro dell’educatore si svolge nella quotidianità, perché qualsiasi situazione può essere utile per conoscere meglio i ragazzi e per supportarli, soprattutto quando avvengono discussioni o litigi. Infatti, proprio in queste occasioni l’educatore può offrire spunti di riflessione, “piccoli insegnamenti” o indicazioni che possano aiutare i minori a crescere e a proseguire nel loro percorso di vita. Parlando del suo ruolo, Emanuele, si è raccontato in questi termini: “Quello dell’educatore è un lavoro delicato e molto arricchente perché dà la possibilità di cambiare insieme ai ragazzi, nel senso che inevitabilmente qualcosa di te cambia con loro; d’altronde cambiare è sempre sinonimo di crescita, se uno rimane sempre uguale a se stesso come può migliorare? Ci sono sempre sfide da superare, perché bisogna trovare soluzioni a problemi contingenti e lo si deve fare in tempi brevi cercando di conciliare esigenze differenti. Non è un mestiere facile, bisogna ‘lavorare sulle distanze’: per loro sono un amico ma di base resto un tutore, che deve saper dire dei ‘no’ al momento opportuno, per educare i ragazzi alla loro vita futura e allenare la mente e la volontà a trovare delle soluzioni”. Gli operatori del Centro ci spiegano che nei centri di accoglienza per minori stranieri si devono sempre affrontare tante difficoltà, soprattutto relative al fatto che bisogna confrontarsi con ragazzi provenienti da Paesi diversi, con esperienze spesso traumatiche alle spalle, con culture e abitudini differenti. A questo proposito, un ruolo fondamentale è svolto dal mediatore linguistico e dal mediatore culturale i quali, comprendendo la lingua, gli usi e i costumi degli Stati di provenienza riescono meglio ad interpretare e veicolare le esigenze e i bisogni degli adolescenti. Chiediamo agli operatori, sulla base della loro esperienza, di raccontarci quali sono le motivazioni che spingono questi giovani ad affrontare viaggi così difficili, mettendo a repentaglio la propria vita. Ci rispondono che i minori migranti sono spinti per lo più dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita e di aiutare le famiglie nei paesi di origine. Molti di loro si creano delle aspettative attraverso il web che poi, in parte, vengono deluse. Ad esempio immaginano di poter lavorare subito per poter inviare del denaro alla famiglia, ma questo per la legge italiana non è possibile, perché i minori sono persone in crescita che devono essere tutelate e aiutate a trovare la giusta strada, con consapevolezza e con un bagaglio culturale adeguato. Capiamo che il punto nevralgico è proprio questo: un sistema di accoglienza efficace è quello che sostiene e guida il minore affinché possa realizzare se stesso. In questo percorso il ruolo delle strutture e degli operatori è fondamentale ma assai difficile: “Un aspetto importante – conclude Emanuele – riguarda il come il singolo ragazzo si vive o si percepisce al di fuori dalla sua terra e lontano dai suoi affetti, spesso i ragazzi avvertono un ‘muro’ che li separa dagli altri o in alcuni casi essi stessi divengono “muro”, rifiutandosi di socializzare”. La nostra visita si conclude con la conoscenza di alcuni residenti: Samuel, Mohamed, Babu e Amhed. L’imbarazzo iniziale dura poco: nei loro occhi e nelle loro parole ritroviamo, infatti, qualcosa di familiare e conosciuto. Sono loro per primi a farci tante domande, soprattutto sul nostro stile di vita, su ciò che facciamo nel tempo libero. Restano stupiti quando scoprono che frequentiamo la scuola per 6 ore al giorno e che trascorriamo il pomeriggio sui libri. Loro non amano la scuola, a causa per lo più delle difficoltà linguistiche; preferiscono giocare a calcio e andare in palestra. Il ragazzo del Bangladesh è un appassionato di cricket. Gli egiziani amano cucinare i piatti tipici del loro paese, come il Kabsa e il Koshari. A tutti piace ascoltare musica, in particolare la Trap, un genere contemporaneo, cantato da artisti dei loro paesi di origine. Parlando con loro il tempo vola e tra una domanda e l’altra alcuni di loro ci raccontano di essere arrivati a Lampedusa dopo aver fatto un lungo viaggio su piccole imbarcazioni. Improvvisamente avvertiamo un senso di separatezza, forse è quel “muro” di cui parlava Emanuele. Pur avendo la stessa età e gli stessi desideri abbiamo un vissuto molto diverso, le nostre vite quotidiane scorrono parallele e non si incorciano. Quello che ci auguriamo è che possa essere solo una questione di tempo, che presto ognuno di loro possa trovare la propria dimensione e la propria strada. Il nostro pensiero va inevitabilmente a tutti quei minori non accompagnati che affollano gli hotspot e che ancora non hanno trovato accoglienza e asilo. Ci chiediamo che fine faranno tutte queste persone se invece di incontrare opportunità incontreranno solo disperazione. Noi cosa faremmo al posto loro? Ci congediamo provando una sensazione di strana di sospensione. Ci scambiamo i contatti e ci salutiamo con un sorridente “arrivederci!”. Minniti Caterina II C Istituto D’Istruzione Superiore “G.B. Impollomeni” – Liceo Scientifico Milazzo Condividi questo articolo Facebook Twitter Email Print Whatsapp Linkedin Visite: 1.194 CONTINUA A LEGGERE SU OGGIMILAZZO.IT