IL COMMENTO. Pina Miceli, esponente del Pd di Milazzo, nel 2010 è stata tra le promotrici della contestazione contro un’azienda specializzata in fotovoltaico che aveva lanciato una campagna pubblicitaria ritenuta sessista anche dall’Iap, l’istituto nazionale che vigila su questo tipo di comunicazione. Questa volta, però, Miceli, non condivide le accuse alla pubblicità di un centro benessere di Milazzo denunciata da Mariella Crisafulli, consiglierà di parità della provincia di messina (leggi qui). Ecco il testo:

Il manifesto contestato a Milazzo

Sono tra quelle donne che nel luglio del 2010 promosse la campagna di sensibilizzazione contro i manifesti di una ditta locale di impianti fotovoltaici che per pubblicizzare i suoi prodotti utilizzò l’immagine di una donna nuda e in posizione prona con un’esplicita allusione sessuale sottolineata dalla scritta sul cartellone “Montami a costo zero”… Adesso, onestamente non mi pare che il caso riportato dall’articolo possa ascriversi alla categoria della pubblicità sessista se per pubblicità sessista intendiamo, correttamente, tutte quelle forme tese a mortificare la dignità della donna mercificando l’immagine del suo corpo per ridurla a puro oggetto del piacere maschile, o alla riproposizione di stereotipi sociali che la vorrebbero solo nei ruoli di casalinga, madre, segretaria ecc. o, al loro opposto, in quello di “femme fatale”. Allora quando si può parlare di “pubblicità sessista” e qual’è il limite da non superare? L’ esperta di comunicazione e creatività Annamaria Testa, che dell’argomento si è occupata approfonditamente nella doppia veste di operatrice della comunicazione e di donna, pone una regola di buon senso: ” se devo far pubblicità ai reggiseni, posso mostrare una ragazza in reggiseno. Ma se devo farla a una linea di traghetti o a una marca di pompelmi, una ragazza in reggiseno che c’entra?”. Nel caso specifico l’immagine della donna utilizzata in questa pubblicità, seppure nuda e “poco gradevole”, non mi pare lanciare messaggi allusivi e ammiccanti o ambigui e volgari o offensivi, al contrario risulta pertinente rispetto al “prodotto” pubblicizzato: trattamenti snellenti offerti da un istituto di bellezza! Nessun uso improprio dell’immagine del corpo della donna, non vorrei che una battaglia legittima e doverosa contro l’uso improprio del corpo della donna, non solo nella pubblicità ma in generale su tutti i media, diventasse automaticamente (e moralisticamente) una forma di tabù rispetto al nudo (femminile o maschile che sia). Il fatto poi che possa essere considerata lesiva della dignità della donna, l’immagine di un nudo femminile che non rispetti i canoni estetici dominanti, diventa cosa davvero inquietante.

PINA MICELI